Franz Carr: il pendolino sempre in ritardo

Franz Carr: il pendolino sempre in ritardo

«Non ho avuto abbastanza spazio per far vedere cosa valgo, di sicuro in Italia non sapete chi è Carr. Ma in Inghilterra non ci voglio tornare: ci sono già stato 14 anni ed è sempre lo stesso calcio, sempre uguale, una noia. Il vostro campionato è molto più bello, magari la prossima volta riesco anche a giocarci» Franz Carr

Franz Carr, fu  un vero inganno. Chiunque penserebbe che la persona che porta questo nome sia di nazionalità tedesca, alto, biondo e possibilmente con gli occhi azzurri. Ma potrebbe benissimo anche essere – e siamo possibilisti – slovacco, croato o ungherese; e prendendo in considerazione il suo rendimento in campo, avrebbe potuto benissimo essere un operaio, un professore o un autista. E invece chi lo ha visto all’opera in Italia difficilmente crede invece che sia stato un calciatore. Tutti hanno sgranato gli occhi quando si sono resi conto che è un “colored” di nazionalità inglese. Inizia la sua carriera in maniera discreta, diventando ben presto titolare nel Nottingham Forest: «Ooh Ahh Franzy Carr, I said Ooh Ahh Franzy Carr», gli cantavano i tifosi del Nottingham.

Un ritornello che qualche anno più tardi venne riutilizzato dai tifosi dello United nientemeno che per Cantona. Ma allora era forte questo benedetto Carr? Il mitico Brian Clough provò a farsi questa illusione, prendendolo sotto la propria ala protettiva sin da bambino, ma dovette ricredersi: Carr correva i 100 metri in poco più di undici secondi, ma tecnicamente (in tutta onestà) non era propriamente un campione.

Una serie infinita di prestiti in Inghilterra non servì a farlo crescere e all’inizio degli anni 90 iniziò gradualmente a perdersi, specializzandosi in “gettoni di presenza”, fornendo le sue prestazioni per un limitatissimo numero di gare all’anno, che difficilmente rasentavano la doppia cifra. Così fu anche in Italia: la neopromossa e già multietnica Reggiana (che aveva in rosa già altri 7 stranieri) lo acquistò nel mercato di riparazione. Arrivò a Reggio il 26 Settembre 1996, e come scrissero su «La Repubblica», si trattava di «… un jolly offensivo, costato praticamente nulla». Forse speravano di cambiare le carte in tavola e raddrizzare un campionato che era iniziato male, ma fecero male i loro calcoli. Le tante panchine accumulate in Inghilterra lo avevano arrugginito, tanto che il Terzino/Centrocampista (doveva pur adattarsi per poter avere l’occasione di giocare) non ha lasciato alcuna traccia di sé. Correva molto, anche troppo, tanto da dimenticare spesso il pallone che accarezzava con i suoi piedoni, con la stessa delicatezza di un elefante.

Tuttavia, ebbe il suo quarto d’ora di celebrità (anche se subentrò solo al minuto 88 al compagno Marco Schenardi), quando in pochissimi minuti riuscì a trascinare i suoi verso una clamorosa vittoria a Perugia, grazie a due assist che hanno subito propiziato le reti di Simutenkov e di Parente, grazie alle quali in chiusura di gara la Reggiana si assicura tre preziosissimi punti. Giocò abbastanza bene anche nel match contro la Juventus, in una delle rarissime apparizioni dal primo minuto. Il quotidiano «La Stampa» gli assegnò la sufficienza, definendo la sua prestazione più che dignitosa: «Per un tempo è l’unico riferimento accettabile in attacco, che vivacizza la Reggiana soprattutto a sinistra. E Torricelli lo pativa». Tuttavia con il tecnico Oddo, subentrato nel frattempo a Lucescu, non scatterà alcun feeling, tanto che lo manderà complessivamente in campo in appena sei occasioni (per un totale appena di 102 minuti giocati), senza realizzare nessun gol. E, come tutta risposta, il colored inglese si portava una serie di presunte fidanzate nordiche da esibire in tribuna al Giglio: l’unica dote che i compagni di squadra gli hanno trovato e reclamizzato. Nel frattempo gli emiliani tornano mestamente in Serie B e lui, amante del lambrusco e delle tagliatelle (come dichiarò apertamente), è costretto ad abbandonare l’Italia per tornare in Patria, per poi emigrare negli Stati Uniti, dove ha chiuso la carriera, ovviamente giocando sempre pochissimo.

Marco Bertolini
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