Gianni Perin, vi racconto i miei sei anni nella stanza dei bottoni della Reggiana

Gianni Perin, vi racconto i miei sei anni nella stanza dei bottoni della Reggiana

“All’inizio solo sponsor, poi socio granata per tanti anno, ora è giusto passare la mano. La promozione in serie B la più grande soddisfazione, il mio idolo era Valencia”

Gianni Perin assieme al tecnico Leonardo Colucci e SistoFontanili

Se pensi a Imec e Bitecnology l’abbinamento con lo sport viene naturale. Per anni la Bitecnology ha abbinato il suo nome al calcio a 5 e alla Reggiana. Dopo sei anni Gianni Perin ha deciso di uscire dalla “stanza dei bottoni” del club granata che l’ha visto per tanti anni prima in qualità di sponsor e poi di azionista. “E’ finito un ciclo – rimarca – la mia avventura si è conclusa. Ho dato tanto alla Reggiana, ho fatto fino in fondo la mia parte, anzi forse di più”.

Sono stati sei anni da dirigente molto intensi ricchi di soddisfazioni e di amarezze.

“Diciamo che non mi sono fatto mancare niente. Gioie e dolori si sono alternati”.

Facile dire che la soddisfazione più grande è stata la promozione in serie B.

“Una promozione che da tifoso ho atteso da 21 anni e da dirigente inseguita per cinque lunghi anni. Mi ero illuso tante volte, arrivando ad accarezzare la promozione ai play off”.

E tra le delusioni è stata più cocente la notte a Siena o la retrocessione dalla serie B?

“A Siena ho sofferto per una palese ingiustizia. Quella Reggiana meritava di andare in finale. Un episodio che purtroppo ha poi segnato il destino della società. La retrocessione è stata amara, cocente ma diciamo che ce la siamo anche voluta”.

Nel senso che avete fatto troppi errori?

“Non siamo stati in grado fino in fondo di essere padroni del nostro destino”.

Inutile chiedere se tornasse indietro cosa non rifarebbe.

“Mi hanno sempre detto che l’esperienza è il cumulo degli errori commessi. Diciamo che ho una lunga esperienza calcistica, però penso di avere anche dato il mio contributo alla causa granata in termini di tempo e di risorse finanziarie”

Gianni Perin e Stefano Compagni

Ma ha più dato o ricevuto?

“E’ stata una passione e come tale ricevi e dai sempre qualcosa”.

Cosa si porta via?

“I rapporti di amicizia che ho instaurato con tante persone, l’amore dei reggiani per la squadra, il calore della gente e poi una soddisfazione personale legata a mio padre Aldo che ha festeggiato allo stadio il suon87esimo compleanno”.

E cosa lascia?

“Una società solida, in buone mani perché Romano Amadei è una garanzia”.

Gianni Perin assieme a Giammaria Manghi, Stefano Compagni e Sisto
Fontanili

C’è un dirigente che vuole ringraziare?

“L’elenco è lungo e commetterei l’errore di dimenticarne qualcuno. Devo ammettere che è stato bello a prescindere”.

Se la sente di fare una previsione: la Reggiana tornerà in serie B?

“Le premesse ci sono, poi è logico che serve un briciolo di fortuna. Di sicuro non passeranno altri 21 anni prima di vedere la Reggiana in serie B. Di questo ne sono sicuro”.

In sei anni sono passati presidenti, allenatori, giocatori.

“E’ vero ma come si usa dire: resta la maglia, cioè la Reggiana. Questo deve essere il punto di riferimento dei tifosi”.

Facciamo un passo indietro, iniziamo dalla sua passione per il calcio a 5?

“Ho iniziato a giocare nella famosa Graziano Boutique. Eravamo la prima squadra nata a Reggio assieme a un gruppo di amici come Mirko Brindani, Gabriele Giuliani e tanti altri. Eravamo nel 1983 e siamo stati i pionieri di questa disciplina tanto che in Emilia Romagna c’erano solo due o tre squadre. Brindani era dirigente della società e sia come Bitecnology che come Imec abbiamo iniziato a essere sponsor”.

Gianni Perin alla presentazione di Generali sponsor granata

Poi il rugby?

“Il rugby è stata la mia prima passione, ho iniziato a giocare a 14 anni facendo tutta la trafila nelle giovanili prima di arrivare alla prima squadra. Sono molto legato a Giorgio Bergonzi, attuale presidente del Rugby Reggio, quindi la nostra sponsorizzazione è stata un passaggio naturale”.

Quindi la Reggiana calcio.

“Siamo stati avvicinati da Alessandro  Barilli attraverso il solito amico Mirko Brindani (lui ci mette sempre lo zampino) e abbiamo fatto lo sponsor di maglia per quattro partite, poi abbiamo ripetuto l’esperienza nella stagione successiva”.

Quindi l’ingresso in società.

“Il primo anno abbiamo fatto gli sponsor poi nel momento in cui Stefano Compagni e Gianfranco Medici con la Mectiles hanno preso la società abbiamo dato la disponibilità a entrare come soci”.

Una passione che nasce da lontano?

“Sono sempre stato tifoso e abbonato della Reggiana. Una passione iniziata con l’avvento di Pippo Marchior

Gianni Perin e Luca Quintavalli

Si è preso gli anni migliori della Reggiana.

“E’ stato un crescendo, tanto che ho sottoscritto anche l’abbonamento decennale per la costruzione dello stadio Giglio. E quando la Mapei ha acquistato all’asta lo stadio mi è venuto un nodo in gola. E’ stato un peccato. A Franco Dal Cin occorrerebbe costruirci un monumento. Se pensiamo che i muri dei Petali, cioè i Distinti dello stadio, sono stati ceduti per 150 milioni di euro è facile comprendere come il suo progetto aveva una straordinaria validità. Se non lo avessero ostacolato ora la Reggiana, non dico che sarebbe ancora in serie A ma non avrebbe nessun problema finanziario. Il centro commerciale poteva mantenere la squadra di calcio. Questa era la sua geniale idea che oggi tutti provano a imitare”.

Quale è la grande differenza tra tifoso e socio?

“Cambia la prospettiva e il modo di giudicare. Entri nei meccanismi della società e se prima da tifoso caso mai ti lamentavi perché la società non prendeva certi giocatori, ora capisci che la salvaguardia del bilancio è di vitale importanza. Conta più il futuro del presente”.

Si soffre di più?

“Molto di più. Il risultato ti condiziona tutta la settimana mentre da tifoso uscivo dallo stadio amareggiato per una mancata vittoria ma il giorno dopo pensavo già alla prossima patita. Adesso è un pensiero fisso sette giorni su sette. Ci sono delle piccole sfumature che fanno la differenza”.

Ad esempio?

“Non puoi mai dire o prestarti ad atteggiamenti che possono mettere in difficoltà l’immagine della Reggiana. Devi sempre contenere la tua gioia ma soprattutto l’amarezza per il risultato, in pratica devi fare buon viso anche a cattivo risultato”.

Gianni Perin e Gianfranco Medici

Però in questi anni è arrivato un tifoso speciale come Amadei.

“E’ di una simpatia unica, un innamorato del calcio vecchio stampo”.

Rimarrà storico il suo regalo: la trombetta che canta una specie di inno alla Reggiana.

“Senza i tifosi allo stadio è stata una sofferenza e un giorno ho regalato ad Amadei questa piccolo megafono che aveva incorporato una canzona che sembrava l’inno della Reggiana. E’ stato come fare un regalo a un bambino: ho visto i suoi occhi brillante di felicità. La sua trombetta è diventata storica”. 

Che rapporto ha con i giocatori?

“Li conosco, ci parlo ma non mi innamoro. Per me viene prima la società, la Reggiana”.

I tifosi ripetono che Reggio meriterebbe un’altra categoria.

“Da tifoso lo dicevo spesso anch’io ma adesso mi rendo conto che per rendere realtà il desiderio dei tifosi ci sono tanti paletti da superare. Ora da socio quella richiesta assume un altro significato e _ ripeto _ la priorità è garantire un futuro alla Reggiana, quindi avere una società sana e solida”.

Cosa l’ha stupito di più del mondo del calcio?

“I numeri economici. Leggevo di cifre importanti in serie A ma non pensavo che anche in serie B e soprattutto in serie C ci fossero impegni così gravosi. L’altro aspetto curioso è che quando parliamo di un ingaggio di un giocatore, per la società la cifra si raddoppia per gli oneri da versare allo stato”.

C’è un altro aspetto?

“La capacità di inventarsi una professione e vivere di calcio. Dei mestieranti che da pizzaioli diventano i più importanti procuratori oppure osservatori”.

Si può dire che il calcio è una malattia?

“Per la moglie di sicuro”.

Una droga?

“Diciamo che anche nel nostro piccolo è accattivante perché diventi un uomo pubblico, sei conosciuto e riconosciuto ma c’è anche il rovescio della medaglia. Personalmente, però, diciamo la popolarità non lo ritengo un aspetto prioritario. Non è stata la molla che mi ha fatto entrare in società  ma la passione per la Reggiana”.

Cosa le piace?

“E’ accattivante la tensione che provi prima della partita, l’attesa per il gol vittoria, anche le delusioni, le discussioni che facciamo al bar con gli amici”.

Cosa le ha dato il calcio? 

“Io lo vivo serenamente. In questa esperienza ho trovato nuove amicizie con persone che reputo intelligenti e disponibili. Un ambiente nuovo, un gruppo di dirigente validi e ho conosciuto persone che hanno alle spalle esperienze significative”.

Gianni Perin assieme al padre Aldo nel giorno del suo compleanno

E’ un buon veicolo per le aziende, per farsi conoscere?

“Non c’è dubbio anche perché la Reggiana è diventato il “salotto buono” della città e quindi hai la possibilità di conoscere altri imprenditori, nuove realtà e caso mai intrecciare rapporti professionali. Vale soprattutto per chi ha prodotti di largo consumo. Essere sponsor della Reggiana è certamente un ottimo biglietto da visita”.

C’è un allenatore che l’ha affascinato, tralasciando quelli che ha avuto nella sua gestione da dirigente?

“Angelo Gregucci per il suo stile di combattente”.

E i giocatori?

“Adolfo Valencia, il centravanti colombiano. Lui è stato il mio idolo”.

E Dal Cin?

“E’ un genio e come tale ha portato grandi giocatori ma anche dei bidoni”.

Con gli amici parla di calcio?

“Preferisco parlare di altri argomenti”.

Gianni Perin con Auto Zatti sponsor della Reggiana

Con chi vede la partita della Reggiana?

“Allo stadio sono con la famiglia e gli amici. Mi trattengo ma se non vado in trasferta la seguo in televisione, da solo e posso sfogarmi. Tra l’altro in tv si vede meglio e soprattutto i commenti degli altri, a volte, mi infastidiscono”.

E con Enrica come la mettiamo?

“Si è appassionata, discutiamo di calcio. L e donne seguono la partita in modo diverso, osservano più i particolari”.

E’ una esperienza da ripetere?

“E’ certamente bellissima e coinvolgente”.

Cosa non rifarebbe?

“Lo sport è sempre stato la mia vita, fin da ragazzino”.

E’ però anche un appassionato di moto.

“Una moto c’è sempre stata anche se non la uso spesso ma identifica il mio senso di libertà. Mi basa andare in giro da solo per un paio di ore per ritrovare la mia serenità”.

Nei viaggi all’estero, prima del lockdown, cosa porta nella sua valigia?

“Certamente un pizzico di reggianità gastronomica e soprattutto la Reggiana calcio. Quando sono stato in Iran, Spagna o Cina ho sempre portato con me dei gadget granata da distribuire agli amici e clienti. E’ bello vedere la sciarpa della Reggiana indossata da uomini di tutto il mondo”.

Wainer Magnani
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