Non ci è bastata l’esperienza Covid quando le tv erano inondate di esperti virologi poi diventati opinionisti televisivi e autori di libri. Oggi ci affidiamo ad ex arbitri che cercano di interpretare e giudicare le decisioni arbitrali e discutono di un protocollo che si presta a mille contraddizioni per cui ciò che viene deciso in una partita cambia in quella giocata a distanza di poche ore. Nemmeno da una giornata all’altra. La mancanza di omogeneità è ormai consacrata e palese. Per non parlare della serie A che sembra avere un regolamento del calcio diverso da quello della serie B. Un campionato, quello di serie B, che viene utilizzato come un castigo per chi commette un errore: l’arbitro e adesso anche chi è designato al Var, se sbaglia in serie A viene mandato in serie B per punizione.

L’altro elemento che fa riflettere è proprio la decisione di Rocchi di punire il varista Di Paola per l’episodio di Milan-Lazio. Viene un dubbio: il Var non doveva essere solo uno strumento al servizio dell’arbitro cui spettava la decisione di rivedere o confermare la sua decisione? Se viene punito il varista di turno significa che in qualche modo ha cercato di influenzare la decisione dell’arbitro, quindi non c’è una visione delle immagini ma una richiesta di cambio di decisione.

La preoccupazione dei tifosi, non solo granata, è legittima perché oggi non c’è certezza di nulla perché non solo l’arbitro ma anche il Var diventano un soggetto attivo e come tale determinano delle scelte soggettive perché lo stesso protocollo si presta sempre più a interpretazioni soggettive. E’ stato messo in discussione il fallo di mano, il pestone del piede, il contrasto tra due calciatori e molto altro.

Come se ne esce? Il primo suggerimento dovrebbe essere quello di restituire all’arbitro la responsabilità delle decisioni affidando al Var solo il compito di far visionare le immagini come avviene nel basket e caso mai introdurre una o due chiamate alla moviola a disposizione delle due squadre.