Esteban Anitua, un argentino che cura muscoli e testa dei granata

Esteban Anitua, un argentino che cura muscoli e testa dei granata

Il giocatore ti misura in 5 secondi e dopo fargli cambiare idea nel bene o nel male è più complicato. Con loro bisogna essere chiaro parlare con l’atleta e non dire una cosa per un’altra”

Esteban Anitua è stato ospite in un incontro alla palestra Eden assieme agli istruttori Mattia Orlandini, Roberto Bonacini e Luca Zinani. “Sono argentino e sempre stato nel calcio – racconta la sua carriera Esteban – ma nel 2001 c’è stata la grande crisi e non avevo lavoro, cosi’ nel 2007 sono arrivato in Italia. Sono professore di educazione fisica ma ho dovuto aspettare degli anni perché mi venga riconosciuta. Dopo tre tentativo sono stato accettato al corso a Coverciano e dopo esperienze nei dilettanti in Eccellenza a Trento e in serie D a Verona nel 2014 ho iniziato la collaborazione con Aimo Diana prima al Sicula Leonzio poi al Renate e ora alla Reggiana”.

Cosa le piace di questa esperienza alla Reggiana?

“E’ stata una fortuna poter lavorare con Diana perché riconosce che la sua carriera è stata importante anche per la condizione atletica che è riuscito a mantenere negli anni”.

Perché la scelta di venire in palestra all’Eden?

“Mi sono reso conto che i giocatori sono dei tori dalla cintola in giù e delle farfalle dalla cintola in su. Per questo ho proposto ai ragazzi di uscire dall’orario di allenamento classico per lavorare in palestra sulla forza e sulla prevenzione. Un allenamento mattutino all’Eden facoltativo. Un’esperienza che ho fatto a Catania e al Renate anche se qui a Reggio è più facile per le strutture. Allenarsi al mattino in palestra obbliga il giocatore ad alzarsi presto, fare una buona colazione, fare un buon allenamento, pranzare in modo corretto e poi fare allenamento al campo. E’ tutto una conseguenza”.

Qual è la tabella di lavoro?

“Il programma è il lunedi’ mattina chi non ha giocato la domenica, poi dal martedi’ al giovedi’, chi vuole l’Eden e io siamo a disposizione”.

Un programma di lavoro che sta dando i suoi frutti?

“Incrociando le dita per il momento non abbiamo accusato infortuni muscolari ma sono tre lesioni ai crociati e una al rene che sono imponderabili. Ovviamente ci sono ragazzi che vengono sempre in palestra, altri mai. Il mercoledi’ pomeriggio quasi nessuno”.

Un programma intenso, non crede?

“Mi sono prefissato questo programma di lavoro perché ho notato che gli atleti che praticano nuoto, atletica o basket si allenano sei o sette ore. Perché non lo possono fare anche i calciatori? La cosa che ho notato è che più sali di livello e maggiore da parte degli atleti è l’attenzione a questo aspetto della cura del proprio corpo. Logico che nella Reggiana ci sono giocatori che hanno alle spalle tanti campionati e quindi lascio loro anche la libertà di svolgere esercizi di allenamento che hanno sempre fatto perché non voglio togliere le loro sicurezze”.

Qual è il ruolo del preparatore atletico?

“Credo che bisogna stare meno davanti al computer per studiare numeri e statistiche e più a contatto con l’atleta per capire le sue esigenze, ascoltarlo, conoscere usi e costumi. In particolare non bisogna mai pensare che sono tutti uguali”.

La preparazione atletica è cosi’ importante?

“Incide per un 10 o 20% sull’esito della partita. Questa è la mia parte di responsabilità anche se poi quando non vinci si dice: la squadra non corre e la colpa è tutta mia. Nella Reggiana c’è una qualità tecnica e professionale elevatissima a partire dal mister Diana che tatticamente è bravo nel farci giocare stretti e corti, cosi’ fatichi meno perché facciamo correre gli altri e nascondiamo il fatto che non siamo giovanissimi. C’è più tattica che fisicità”.

E’ cosi’ in tutte le categorie?

“Più sali di categoria e più ti rendi conto che la salute mentale del giocatore è la prima cosa che emerge, come la cura dei particolari. Spetta a noi organizzare il loro tempo perché altrimenti perdono sei o sette ore davanti al play station. Per questo proponiamo cene tutti assieme o altre iniziative comuni, cosi’ capisci cosa mangiano e tanti altri aspetti”.

E fuori dal campo?

“Un altro aspetto che incide sul rendimento dei giocatori è la famiglia. Chi è sposato se ha litigato con la moglie oppure se ha figli e non ha dormito si allena male e si fa male. Per questo gli preparato un allenamento diverso, perché in queste condizioni la percentuale di farsi male è altissima. Per questo cerco di passare molto tempo con l’atleta”.

E i dati statistici?

“Io sono un pragmatico Ho un sistema di gps sviluppatissimo che lo uso solo con i giocatori che lo apprezzano. Io ho 10 giocatori fanatici che vogliono sapere anche quanti passi fanno e altri dieci che non vogliono sapere nulla. Anche durante la partita. Non sono matto nei numeri oggi preferisco guardare il lato umano”.

Può dare qualche riscontro?

“Una partita di 90 minuti dura in realtà nei movimenti per 38 minuti e in quei minuti un atleta percorre dai 9 ai 12 chilometri. Il riposo? I giocatori riposano anche troppo e hanno un sacco di tempo libero. Non fare niente per 24 ore fa del male. Un atleta deve mangiare bene ma il tempo libero ci deve essere perché il calcio è pressione, tensione mentale. Guardò me stesso: ho il collo bloccato da 20 giorni e per fortuna siamo primi”.

Il cellulare è un compagno di viaggio irrinunciabile?

“Il cellulare lo possono tenere perché in squadra ci sono molti che hanno mogli e figli. Fare a meno del cellulare è difficile”.

Cosa chiede ai giocatori?

“Mi piace il giocatore che è curioso e che impara a gestirsi”.

Cosa c’è nel suo futuro?

“Io ho un contratto di un anno e quindi devo pensare che in otto mesi il giocatore mi deve rendere al massimo per vincere le partite. Lo devo fare stare bene per otto mesi perché magari il prossimo anno non ci sono più”.

Le fortune della Reggiana sono iniziate in ritiro a Carpineti?

“In ritiro abbiamo fatto un carico di lavoro progressivo perché molti ragazzi venivano da un anno traumatico per la retrocessione e per i tanti problemi connessi. Siamo stati più psicologi che preparatori. Siamo partiti piano con due giorni di allenamenti poi un giorno libero. Non è stata una preparazione massacrante anche perché abbiamo fatto diverse amichevoli”.

Però tutti i suoi colleghi guardano i test.

“I test atletici li detesto. Preferisco i test di mobilità. Però è anche vero che se perdiamo 4 partite e la società mi chiede: cosa dicono i test fisici e io non ce li ho per poter dire stiamo correndo uguale a prima, mi potrebbero mandare a casa perché diranno che la squadra non corre”.

Cosa ha pensato quando è entrato per la prima volta nello spogliatoio granata?

“Il giocatore ti misura in 5 secondi e dopo fargli cambiare idea nel bene o nel male è più complicato. Con loro bisogna essere chiaro parlare con l’atleta e non dire una cosa per un’altra. Occorre fare il massimo per avere la fiducia dell’atleta. Bisogna farsi volere bene per come lavori. E come sempre il risultato aiuta e se vinci vengono in palestra felici ma non devi essere abitudinario, fare qualcosa di nuovo. Occorre sempre cambiare qualcosa per incuriosirlo. Il giocatore deve venire in palestra e dire: oggi cosa si fa?”.

Wainer Magnani
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