“Squadra forte se società forte” ma in realtà la solidità era solo a livello finanziario ma non come compattezza dirigenziale. Tanti gli errori arbitrali ma sono i numeri ad essere impietosi
TERZA PARTE
LO STRAPPO. “Squadra forte se società forte” è un concetto che non vale solo per la forza economica della proprietà ma soprattutto per la coesione che regna all’interno del gruppo dirigenziale. E va detto che la Reggiana ha avuto vicissitudini che hanno compromesso l’unità e la coesione dei soci. Una compagine societaria che si era assottigliata al termine della stagione scorsa passando da 12 a 9 soci con l’uscita (3 luglio 2020) di Cristiano Giaroni, Livio Bondavalli è Italia Pref. Anche in quella occasione era stato Amadei ad aumentare le sue quote passando dal 25,98% al 37,36% mentre Salerno è rimasto al 25%, Conad al 14%, Cesare Roberto (7%), Giuseppe Fico, Luca Quintavalli e Mauro Carretti (4,38%) Gianni Perin (2%) e Iller Reggiani (1,5%).
Lo scollamento all’interno della società, anche se tenuta nascosta, si è materializzata il 27 novembre quando il presidente Marzio Ferrari ha annunciato che Conad sarebbe uscita dalla società, pur rimanendo sponsor e le quote (14%) sono state ripartite in proporzione tra i soci. In quel momento è stato accelerato il passaggio del testimone tra Quintavalli e Salerno. Mauro Carretti, amministratore delegato, ha preferito rinunciare all’incarico perché legato a Luca Quintavalli e Carmelo Salerno ha assunto il ruolo di presidente e di amministratore delegato. Fatto abbastanza insolito in una società di calcio. L’uscita di Conad e quindi le dimissioni di Mauro Rondanini da vice presidente ha poi portato Giuseppe Fico e Cesare Roberto alla vice presidenza.
GLI ERRORI ARBITRALI. Non è una colpa ma un dato di fatto. E’ vero, come rilevano a livello nazionale, che quest’anno gli arbitri hanno sbagliato molto e con tutte le squadre e tutti si lamentano. Sarà anche cosi’ però gli errori arbitrali che ha subito la Reggiana sono stati decisivi in alcune partite che avrebbero potuto cambiare il corso del campionato. Di solito si usa dire che “si compensano” ma in questo caso non è stato cosi’.
I NUMERI. Basta scorrere i numeri della Reggiana per capire le carenze di una squadra che subisce troppi gol, addirittura ben 13 nei primi quindici minuti della partita, compromettendo il risultato e ha una evidente carenza offensiva. Il goleador è stato Mazzocchi con 7 gol (realizzati tutti nella prima parte di stagione) seguito da Varone.
POCHE CERTEZZE. L’allenatore Alvini ha utilizzato 26 giocatori, senza contare i 4 giocatori ceduti che pure sono scesi in campo. Di questi 26 giocatori, però, solo due hanno superato le 30 presenze (Radrezza e Varone) il che significa una costante e continua rotazione dei giocatori dovuto certamente a infortuni o a un calendario fitto di impegni ma anche a scelte determinate dall’incostanza di rendimento. Perfino i due portieri Venturi e Cerofolini, alla fine, hanno fatto più o meno le stesse partite. Non c’è stato uno “zoccolo duro” o un undici titolare. E le presenze sono sempre state caratterizzate da sostituzioni fatte o avute.
IL CASO SALERNITANA. Quel 3 a 0 a tavolino ha pesato nella mente di mister Alvini ma anche nella testa dei giocatori perché in qualche modo si sono sentiti discriminati. La coerenza e l’onestà intellettuale della società è stata vista come una debolezza e il sistema calcio ha fatto il resto calpestando quei principi scritti nel Protocollo e votati da tutte le società. Una ingiustizia che si è trasformata in un boomerang. Una ferita mai richiusa e che ha condizionato perché in tutti, giocatori e ambiente, è affiorata l’idea di essere un “vaco di coccio”.
L’ILLUSIONE. Ogni volta il messaggio che veniva dato era sempre lo stesso “abbiate fiducia che raggiungeremo l’obiettivo della salvezza”. Sempre e comunque una dichiarazione rassicurante del tipo “va tutto bene” ma in realtà si è cercato di mettere la polvere sotto il tappeto. Cosi’ sconfitta dopo sconfitta si è sempre pensato in positivo nella speranza di cambiare l’andamento del campionato fino a quando ci si è resi conto che era una solo “una lunga agonia”. E di questo se ne era accorto per primo il patron Romano Amadei ma era ormai troppo tardi. Forse occorreva qualche critica in più? Qualche pugno picchiato sul tavolo? Una sferzata a tutto l’ambiente? L’intervento a gamba tesa di qualche massimo dirigente?
Chi lo può dire.
SEGUE…
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