Sono i numeri a condannare la gestione tecnica di Alvini: una squadra che ha smarrito la sua identità, sopravalutata all’inizio, corretta male a gennaio, con troppi ripensamenti nei moduli e nella scelta degli uomini anche per i tanti infortuni
ULTIMA PARTE
L’ultimo capitolo di questo nostro viaggio sulla retrocessione della Reggiana riguarda la gestione tecnica, quindi le responsabilità di mister Max Alvini e del suo staff ma anche del ds Doriano Tosi.
Ci sono aspetti inspiegabili nel corso del campionato, ad esempio i tanti infortuni muscolari nel dopo Covid e soprattutto ripetitivi. Alvini, per altro, ha ammesso questa responsabilità. Quello clamoroso fa riferimento a Fausto Rossi che ha accusato per tre volte una recidiva. Ma in generale è stata una stagione caratterizzata da troppi infortuni muscolari anche se va detto che questa è stata una connotazione di tutti i club. Gli infortuni, però, hanno inciso e non poco nelle scelte del tecnico Alvini che non ha mai potuto mandare in campo la stessa formazione per un periodo di partite. Addirittura sono poche le volte che è scesa in campo la stessa formazione della partita precedente. Questo è un fattore condizionante per trovare una coesione di reparto e di squadra. L’identità di gioco è sempre stata una caratteristica della Reggiana dello scorso anno ma nel corso di questa stagione si sono alternate prestazioni di livello ad altre prove impalpabili, a prescindere dal risultato. A Venezia, ad esempio, la Reggiana ha giocato bene e perso. Con l’Ascoli ha giocato male ma vinto.
Una organizzazione di gioco che è figlia dei giocatori a disposizione, degli infortuni ma anche di una squadra che non ha mai saputo difendere bene. E’ vero che la fase difensiva non è mai stata una peculiarità della squadra di Alvini che sopperiva a questo con una grande pericolosità offensiva. I numeri della stagione sono impietosi e fotografavano alla perfezione questo concetto: 57 gol subiti e solo 31 segnati. In pratica una Reggiana che non difende e non sa attaccare. Questa è la realtà, senza contare le 14 volte in cui la difesa della Reggiana ha subito gol nei primi quindici minuti o le numerose partite perse al novantesimo. Solo 8 volte la difesa della Reggiana non ha subito gol. I quattro attaccati (Mazzocchi, Kargbo, Zamparo e Ardemagni) hanno segnato in tutto 11 gol e di questi 7 li ha messi a segno Mazzocchi, buona parte in avvio di stagione.
In campo, è vero, vanno i giocatori ma è l’allenatore a dover governare la squadra.
Un’altra situazione incomprensibile è anche il cammino dei granata: il 12 dicembre, dopo la vittoria a Cosenza, la Reggiana era al decimo posto, a 4 punti dai play off e con 5 punti di vantaggio dai play out. Ci si era illusi? Forse. Sta di fatto che nelle successive sette partite la Reggiana ha racimolato solo un punto perdendo gare interne in modo incomprensibile contro Frosinone, Reggina e Pescara. Poi c’è stato la capacità di riprendere spinta con le vittorie contro Entella, Ascoli, Cittadella e il pari con la Salernitana. Ma dal 26 febbraio è iniziato nuovamente il calvario. Un campionato tra sali-scendi prima con l’illusione della salvezza diretta, poi dell’approdo ai play out. Infine si chiedeva di arrivare quartultimi ma anche questo traguardo è stato disatteso.
Alvini e Tosi hanno diviso tutte le scelte compiute e quindi è doveroso parlare di 50% di responsabilità per ciascuno anche se alcune scelte, vedi il cambio del modulo con tanto di ripensamento finale, spettano al tecnico. L’allenatore, per sua stessa ammissione, ha avvallato anche le scelte di mercato di gennaio. E’ indubbio che la valutazione iniziale dell’organico che aveva vinto i play off e il mercato di riparazione hanno mostrato delle carenze, alla luce di un campionato di serie B che richiedeva ben altro. In questo ha pesato la non conoscenza della serie B che Alvini non ha mai disputato e il ds Tosi mancava da questo palcoscenico da diversi anni. Un mercato estivo fatto in fretta (i play off si sono conclusi il 22 luglio) ma con poca visione.
Il cambio del modulo, passando dalla difesa a tre a quella a quattro con relativo cambio del centrocampo ha determinato anche le scelte nel mercato di gennaio. Un cambio di rotta che, però, è stato poi accantonato per tornare all’antico anche se poi gli infortuni di Rossi e Kargbo in particolare, hanno condizionato le scelte.
Se a bocce ferme prendiamo in esame i moduli che ha utilizzato Alvini avremmo la sensazione di una Reggiana che ha spesso cambiato pelle senza avere quella identità di gioco che era stata una caratteristiche di Alvini.
Sulla gestione del gruppo è difficile poter esprimere un giudizio concreto perchè gli allenamenti sono sempre stati a porte chiuse. Dall’esterno, anche in base a voci e indiscrezioni, è difficile credere che si sia trattato di un gruppo coeso e unito. Però questo è una valutazione che non può essere fatta con cognizione di causa.
Un altro capitolo spinoso e che ha certamente inciso è la mancanza di una “casa granata”. La soluzione di Cavazzoli si è dimostrata “provvisoria” per un club di serie B anche se Alvini ha trovato la massima disponibilità per attrezzare la struttura in base alle sue richieste. Poi è arrivata la necessità con il maltempo di allenarsi su di un sintetico e la scelta di San Martino ha mostrato tutte le sue inadeguatezze. Alternare le strutture di Cavazzoli e quella di San Martino ha fatto percepire un senso di precarietà, oltre che di problematiche di allenamento.
A conclusione di questa analisi però va detto che a prescindere dal risultato finale Massimiliano Alvini è riuscito a risvegliare il senso di appartenenza di una città e di una tifoseria. Ha saputo trasmettere un entusiasmo e una coesione a tutto l’ambiente (tifosi e media) senza precedenti. E’ stato apprezzato come uomo e rappresentante della reggianità. Certamente più di quello che la sua Reggiana ha offerto nel rettangolo di gioco che non per quello che la Reggiana ha offerto. Alvini è stato e resta molto amato dal popolo granata.
FINE
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