Aimo Diana, il dottor Jekyll e mister Hyde della Reggiana

Aimo Diana, il dottor Jekyll e mister Hyde della Reggiana

Giudicatemi dai risultati” ha sempre detto Aimo Diana e se così fosse, oggi che è un vincente, dovremmo solo stendergli il tappeto rosso. Errori di comunicazione? Sì. Apprezzabili? Sì perché sono spontanei. Giustificabili? No, perché nel suo ruolo non se li può permettere

Aimo Diana è come dottor Jekill e mister Hyde e questo mi fa ancora più rabbia. E’ l’unico allenatore che pur avendo vinto due campionati (per me è stato un successo anche quello dello scorso anno) ha diviso i tifosi in modo netto, viscerale. Certo adesso alzano la voce chi l’ha sempre stimato ma senza la vittoria del campionato l’avrebbero crocifisso.

Partiamo da una premessa: Aimo Diana è un eccellente allenatore, almeno tra i migliori di quelli che hanno scritto la storia della Reggiana e mi riferisco a Marchioro, Giordano, Ancelotti, Alvini. Certo oggi è un altro calcio rispetto agli anni novanta. Ma dobbiamo avere questa consapevolezza che ci viene dai numeri da record che ha fatto la Reggiana negli ultimi due anni: 166 punti in due anni, 48 vittorie su 77 partite. E manca ancora una partita. La Reggiana è sempre stata la miglior difesa e il miglior attacco. Il calcio che ha proposto, soprattutto lo scorso anno al Città del Tricolore, è stato dominante rispetto agli avversari.

Giudicatemi dai risultati” ha sempre detto Aimo Diana e se così fosse, oggi che è un vincente, dovremmo solo stendergli il tappeto rosso. Del resto chi può permettersi di giudicare come allena una squadra, la sua preparazione tattica, la capacità di gestione del gruppo? Certamente i ds Doriano Tosi e Roberto Goretti, non credo i tifosi anche perché pochi hanno sempre assistito agli allenamenti. I giornalisti? Io posso solo fare una comparazione rispetto a chi ha allenato la Reggiana è un cerchio molto ristretto. Allora bisogna dire che ha ragione Diana: giudichiamolo dai risultati. In questo logica “tanto di cappello”.

So anche quale può essere la puntualizzazione: ma era facile vincere avendo questo organico; se guidi una Ferrari non puoi che vincere. Ma così non è perché Volpe e Toscano avevano a disposizione un organico che per alcuni era anche superiore a quello della Reggiana.

In poche parole i “fatti” sono dalla parte di Aimo Diana. I risultati dimostrano che è un vincente. Stop.

Ma quali sono stati i meriti e i difetti di Aimo Diana?

Se iniziamo dalla simpatia o antipatia che è uno spartiacque per i tifosi è difficile dire che Diana ha un approccio iniziale simpatico, anzi. La sua timidezza o riservatezza o leggerezza – chiamatela come volete e poi cercherò di spiegarla – porta i tifosi a pensare che sia un presuntuoso o anche un arrogante. Basterebbe trascorrere qualche ora con lui per capire che questo lato del suo carattere è infinitamente secondario rispetto alla capacità di essere simpatico, sbarazzino, divertente, interessante. E’ uno scudo che si è messo e che forse fa parte del suo Dna ma è una maschera. Certo non sempre. Ma è così. Non ama essere ruffiano, non vuole imbonirsi i giornalisti, i tifosi o i dirigenti perché tanto sa che sono i risultati a determinare i giudizi. Non si presta a una comunicazione accomodante, opportunista o votata al consenso. Non ama, anche nelle sue dichiarazioni, “allenare il popolo”. Vive in un contesto tutto suo, a Cadelbosco, frequenta poco la città, non ama i social (è un’autodifesa necessaria al giorno d’oggi) non legge e non ascolta i media. Non fa tutto quello che oggi gli allenatori influencer fanno: foto, dichiarazioni, corsa sotto la curva, appelli, frasi ad affetto. Per molti aspetti assomiglia a Pippo Marchioro seppur con un’età diversa, in un altro calcio, in un contesto diverso ma la stessa personalità.

Questo aspetto l’ha fortemente penalizzato nei confronti dell’opinione pubblica. Eppure ha sempre avuto il massimo rispetto per i tifosi. Mai ha chiuso le porte dei suoi allenamenti, mai se l’è presa per le critiche o i fischi ricevuti. Andate e rivedere le sue conferenze stampa della vigilia e troverete sempre delle dichiarazioni interessanti, mai banali o scontate ma sempre di grande spessore. E anche quelle del post partita sono analisi sulla partita perfette. Non mi è mai capitato di contraddire i suoi giudizi sulla prestazione della squadra perché è sempre stato onesto, leale, sincero e coerente. Quando ha sbagliato è stato il primo ad ammetterlo senza alibi o finte giustificazioni. Certo, a volte, dice cose che pensa e che dovrebbe non dire per un senso di opportunità. Esternare all’opinione pubblica ciò che in quel momento prova o pensa. Chi fa l’allenatore ha un ruolo che ogni parola subisce un’eco che poi diventa incontrollabile. Succedere in serie C, figuratevi in serie B o in serie A. E’ per questo che a volte per un senso di opportunismo occorre stare zitti o cambiare argomento. Diana sa di questa sua “forza” di comunicazione e ne abusa perché non la controlla. Gli nasce da dentro e la esterna perché fa parte del suo carattere, del sentirsi superiore ai giudizi degli altri, anche se poi non è così. Facciamo un esempio: dedico la vittoria del campionato a me stesso. Lo pensa veramente e ne ha tutte le ragioni ma non può spiegare alla gente dove nasce questa sua esternazione. Ecco che quella dichiarazione diventa da “presuntuoso”.

Non tutti potranno salire sul carro, anzi dovrebbe essere chi li butta giù”. A caldo lo pensi perché c’è un vissuto alle spalle che la gente non può sapere e allora anche questa frase suona in modo arrogante.

Errori di comunicazione? Sì. Apprezzabili? Sì perché sono spontanei. Giustificabili? No, perché nel suo ruolo non se li può permettere. Ma tutto questo fa parte della “maschera” che indossa Diana e che gli deriva anche dal suo vissuto di eccellente giocatore di serie A, dal fatto che non è vincolato a schemi, all’ingaggio, alla necessità di allenare. Apro una parentesi: quando mi ripete queste cose “io non devo allenare per forza, non mi interessa il giudizio della gente, non vivo di calcio” mi fa arrabbiare perché “mente a se stesso”.

Perché dicevo che a monte di quelle dichiarazioni c’era un pregresso, un vissuto, un anno vissuto in altalena. Il campionato di quest’anno è stato veramente complicato e solo oggi lo possiamo capire fino in fondo. All’inizio della stagione Diana ha dovuto “difendere” alcuni giocatori che la società voleva cambiare. Si è fatto forte del suo ruolo per confermarli e alla distanza ha avuto ragione. Si è fatto carico nei confronti dei giocatori di ottenere certi risultati, vedi il premio promozione ma soprattutto ha governato 24 giocatori e di questi oltre la metà era in scadenza di contratto. Si è fatto “sindacalista” anche se lui non ama questo termine, per cercare di compattare il gruppo anche trovando nella società il “nemico” proprio per questo scopo. Si è fatto paladino del gruppo perché sapeva che solo in questo modo avrebbe potuto vincere il campionato. Per questo non ha condiviso le scelte della società, nelle grandi cose, vedi il rinnovo dei contratti, come nelle piccole, vedi il regolamento interno. Se a fine stagione faremo un sondaggio tra i giocatori forse troveremo uno o al massimo due che mostreranno una critica nei confronti dell’allenatore. Questa è la sua vera vittoria personale: essere riuscito a rapire il cuore dei giocatori. Anche di coloro che sono andati via per vari motivi ma soprattutto per chi è rimasto pur sapendo che avrebbe avuto poco spazio.

Dove Diana ha sbagliato nella gestione del gruppo? Nel voler a volte dimostrare, forse più a se stesso che agli altri, che le sue convinzioni tecniche o tattiche, erano giuste. Che aveva ragione lui. A volte va bene, altre volte no. In questo ha rischiato e penso che gli sarà servita da lezione. Poi è stato saggio e intelligente nel tornare sui suoi passi, nel rivedere alcuni concetti. Ma ha avuto un grande merito di aver coinvolto tutti i giocatori nel suo progetto di squadra, nessuno si è sentito escluso, emarginato o fuori dai suoi pensieri.

Io l’ho capito anche da un particolare che ho visto in allenamento. In tutte le sue esercitazioni tattiche non ha mai schierato da una parte i titolari della domenica precedente e dall’altra parte gli altri. Tutti i 24 giocatori erano partecipi in modo uguale. Negli allenamenti non ci sono mai stati titolari o riserve ma solo difensori, centrocampisti e attaccanti che utilizzava in modo totale. Non ha mai allenato undici giocatori e poi il resto.

Non so se Diana rimarrà il prossimo anno ma sono certo che al terzo anno ritroveremmo un allenatore diverso, più maturo e conscio del suo ruolo e forse anche meno istintivo o stratega in alcuni frangenti. Un allenatore che ha imparato a condividere, a far scegliere, a saper gestire in modo diverso. Un Aimo Diana 3.0

Wainer Magnani
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