La cultura della sconfitta e le nuove insidie del smartphone

La cultura della sconfitta e le nuove insidie del smartphone

La Reggiana ancora una volta ha dimostrato di essere un passo avanti su alcune tematiche come il pericolo del calcio scommesse e l’educazione dei giovani calciatori

La Reggiana ancora una volta ha dimostrato di essere un passo avanti su alcune tematiche come il pericolo del calcio scommesse e l’educazione dei giovani calciatori. Un tema che è stato illustrato e discussione in occasione di un convegno al Mapei Stadium Città del Tricolore. L’aspetto che non è stato sottolineato è che la Reggiana ha avuto l’idea e l’ha trasferita al calcio italiano come viene citato dalla Lega di B anche se si parla di collaborazione ma in realtà il “marchio” è tutto granata. Questo per dovere di cronaca e per rimarcare ancora una volta come la Reggiana è al top in queste iniziative. “Ac Reggiana – si legge nel comunicato della Lega B – in collaborazione con l’Associazione Italiana Calciatori e la Lega Professionisti Serie B con il patrocinio di FIGC e Unimore, ha organizzato il convegno “Non è solo un Gioco: riflessioni e testimonianze a sostegno della formazione del giovane calciatore”.
C’è però un altro particolare che proprio non accetto: il mancato uso della lingua italiana. “In mattinata – si legge ancora nel comunicato – c’è stato un incontro fra i presidenti di Aic e LNPB e Reggiana Umberto Calcagno, Mauro Balata e Carmelo Salerno, e la squadra di mister Nesta presso il centro sportivo di via Agosti. Al centro dell’attenzione i temi legati al “match fixing” e all’abuso nell’utilizzo dei farmaci in ambito sportivo e in modo particolare nei settori giovanili, esponendo gli atleti al forte rischio di compromettere la propria crescita e sviluppo. È compito delle società sportive trasmettere alle ragazze e ai ragazzi l’importanza di queste tematiche, rendendoli consapevoli delle implicazioni che possono avere a livello psicologico e penale danneggiando la persona”.
Tutto giusto ma perché dobbiamo scrivere “match fixing” che letteralmente significa “partita aggiustata” anziché “calcio scommesse” perché è di questo che stiamo parlando. Temo che il calcio italiano abbia paura di questa “valanga” che potrebbe abbattersi sul calcio, soprattutto in Lega Pro. Per questo motivo si usa un termine che non dice niente: match fixing.
Al convegno ho sentito tanti ragionamenti ma due su tutti li vorrei rimarcare e guarda caso sono stati portati in campo da due giocatori. Vorrei usare le parole di Filippo Romagna che ha chiesto ai ragazzi di “usare bene il loro tempo per riempire la giornata”. Un concetto che vale per i ragazzi che devono studiare ma soprattutto per i professionisti. Mi sono sempre chiesto come utilizzano il proprio tempo i giocatori della Reggiana dato che dedicano all’allenamento poco meno di tre ore: inizio allenamento ore 10, fine allenamento ore 12. Quindi sono impegnati dalle 9 di mattino alle 13 e dopo?
L’altro spunto molto interessante l’ha indicato Paolo Rozzio quando ha parlato dell’utilizzo degli strumenti tecnologici e in particolar modo lo Smartphone. Siamo passati in fretta dal cellulare che serviva solo per telefonare a uno strumento che ci inserisce in un mondo virtuale, che allo stesso tempo ci mettere a contatto col mondo e ci isola ma soprattutto uno smartphone ricco d’insidie e di tentazioni. L’invito del capitano è stato quello di conoscere bene le tecnologie e di non esserne prigionieri.
Ultimo aspetto è l’utilizzo di farmaci per migliorare le prestazioni. Questo è un tema scottante che, però, deve essere combattuto in un solo modo: la cultura della sconfitta. Solo in questo modo potremo migliorare e progredire puntare sulle nostre qualità e non chiedendo “aiuto” a fattori esterni perché siamo prigionieri del successo. E’ questo ciò che devono insegnare gli allenatori-educatori: accettare la sconfitta e partendo da questa migliorare per raggiungere il proprio traguardo che può essere la vittoria o anche il solo fatto di giocare un minuto. Troppe volte ho sentito genitori rimarcare “mio figlio non gioca perché non è raccomandato oppure perché ha un anno in meno o non è ben visto dall’allenatore o perché non ha lo sponsor” e così facendo accresciamo la cultura del doping.
Wainer Magnani
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