Tutto il nostro calcio è in deroga

Tutto il nostro calcio è in deroga

Termino con un particolare che forse a molti è sfuggito: subito dopo la retrocessione della Reggiana dalla serie B il presidente Salerno aveva chiesto alla Covisoc i documenti del Pordenone perché si riteneva non fossero conformi. Nessuno ebbe la dignità di rispondere ma dopo due anni ecco la verità: il Pordenone non solo escluso dal calcio professionistico

E’ forse giunto il momento che chi governa il calcio italiano faccia una seria riflessione sul futuro di questo mondo. Il caso Lecco che tiene banco in queste ore ci deve far riflettere. Occorre partire da un presupposto: per come sono oggi strutturate le società, il calcio italiano non si può permettersi di avere 100 club professionistici. La prima stortura è di carattere economico: il 70% dei diritti tv va alla serie A, il 27% circa alla serie B e il restante 3% alla serie C. In questo modo la serie C sta sempre più diventando un campionato per piccoli club che hanno costi ridotti e anche ambizioni ridotte, almeno inizialmente, poi i miracoli possono sempre accadere. Il prototipo di società ideale dell’attuale serie C è un club che ha un costo aziendale al massimo di 1,5-2 milioni di euro perché solo in questo modo può reggere i costi. Ovviamente stiamo parlando di piccole realtà di provincia che un tempo militavano in serie C2. Le società che hanno tradizione, storia, ambizioni e una città alle spalle sono costrette a indebitarsi perché occorre spendere dagli 8 ai 10 milioni per essere competitivi. Ma in questo modo nessuna società di serie C può reggere per più di due o tre anni, anche se alle spalle c’è un mecenate. La Reggiana può parlare per esperienza diretta ma se andate a vedere tutte le società, ad esempio della ricca Emilia Romagna, sono fallite almeno una volta. Le soluzioni non sono tante ma solo due: una ridistribuzione a pioggia dei compensi televisivi come accade, ad esempio, in Inghilterra e quindi si permette anche alle società di serie C di sopravvivere oppure si torna a una divisione tra serie C2 e serie C1. Sembrerà un discorso poco sportivo ma non si possono mettere nella stessa categoria società come il Fiorenzuola o la Reggiana anche se il campo ha detto il contrario. Il merito sportivo deve essere accompagnato anche da altri principi come l’impiantistica e il bacino d’utenti. E veniamo alla stretta attualità: non ha colpa il Lecco se gli stadi sono ancora fermo agli anni novanta ma è pur vero che in questo periodo la Federazione si è data delle regole e come tali vanno rispettate. Se l’accesso allo stadio deve essere fatto con i tornelli, se vi deve essere uno steward ogni 100 tifosi, se tutti gli stadi devono essere con posti a sedere, se l’impianto di illuminazione deve avere una certa potenza, se gli accessi allo stadio devono avere certe caratteristiche e potremmo proseguire. Sono regole che la Figc e le tre Leghe si sono date, che dobbiamo far rispettare e che hanno priorità anche sul risultato sportivo conquistato sul campo altrimenti le cancelliamole e scriviamo che tutto è possibile, basta avere un campo rettangolare. E’ così perché non ha senso che la Feralpisalò vada a giocare a Piacenza come non ha senso che una cittadina di 10mila abitanti pensi di spendere soldi pubblici per adeguare uno stadio alla serie B salvo poi tornare nei dilettanti quando il magnate di turno non finanzierà più il club. E’ un esempio e se ne possono fare tanti perché la serie C è ricca di favole ma anche di grandi contraddizioni.
Mettiamoci d’accordo: se il merito sportivo è prioritario allora togliamo tutte le regole che assillano gli impianti sportivi. Diversamente dobbiamo prendere atto che anche una vittoria sul campo non può corrispondere a una promozione.
Le contraddizioni della Reggina sono solo la punta dell’Iceberg perché ci dimentichiamo quando anni fa, molte squadre avevano ottenuto dallo Stato di spalmare il debito con l’erario in 10 o 20 anni. E’ la stessa anomalia. Com’è assurdo che una società che fallisce riparta dalla serie D. La regola vuole che perdendo il titolo sportivo si riparta dalla Terza categoria, come è stato imposto al Chievo Verona. Credo sia anche illogico che la Lega Calcio anticipi il “paracadute” a una società per pagare i debiti con i giocatori e potersi iscrivere. Come ritengo fuori dalle regole dei dilettanti che una società trasferisce il suo titolo sportivo in un altro comune non confinante. Eppure succederà senza che nessuno dica niente. Potremmo andare avanti e anche voi potreste enunciare tutte le storture di questo calcio. Non mi infilo nel discorso delle plusvalenze perché siamo al cospetto di un caso al limite del ridicolo. basti pensare che viene punita una società e non chi è complice, viene punito il club e non i dirigenti. E’ tutto veramente assurdo. Vogliamo parlare delle deroghe? Tutto il nostro calcio è in deroga. Gli stadi sono in deroga, le società sono in deroga, tutto è in deroga.
Termino con un particolare che forse a molti è sfuggito: subito dopo la retrocessione della Reggiana dalla serie B il presidente Salerno aveva chiesto alla Covisoc i documenti del Pordenone perché si riteneva non fossero conformi. Nessuno ebbe la dignità di rispondere ma dopo due anni ecco la verità: il Pordenone non solo escluso dal calcio professionistico ma non ha le risorse per pagare i debiti con la Figc e quindi sarà costretta a ripartire dalla Terza categoria, anche se sperano nell’Eccellenza, cioè un campionato regionale.
Si usa dire che “il pesce puzza dalla testa” e ho l’impressione che non si voglia fare nulla per risanare il calcio ma solo mettere delle pezze che come diceva il mio compianto direttore Bonafini “sono peggio del buco”.
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Wainer Magnani
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