Fulvio D’Adderio per la nostra rubrica “cosa ricordi di Reggio Emilia”

Fulvio D’Adderio per la nostra rubrica “cosa ricordi di Reggio Emilia”

“Mi ricordo che quando arrivai a Reggio mi dissero “stai attento quando c’è la nebbia” ma non me ne sono mai reso conto, anche perché nel centro della città è difficile che ci sia. Una domenica al Mirabello, però, ho capito tutto: io giocavo sulla fascia destra e ho visto arrivare all’improvviso la nebbia e in pochi minuti non vedeva la fascia sinistra del campo”

Salvo Fulvio D’Adderio è stato un elemento prezioso per la promozione in serie B della Reggiana con i suoi 5 gol ma soprattutto un uomo che si è profondamente legato al territorio anche se a Reggio Emilia ha vissuto solo due anni (69 presenze) ma con uno straordinario senso di appartenenza. “Col senno del poi – rimarca D’Adderio – ho sbagliato a lasciare la Reggiana per andare al Perugia. Il ds Renzo Corni non voleva cedermi e aveva ragione. Se fossi rimasto con Pippo Marchioro ora sarei un cittadino reggiano a tutti gli effetti perchè mi sarei trasferito a vivere a Reggio Emilia”.

Cosa ti sei portato con te dei reggiani?

Il loro attaccamento viscerale alla Reggiana ma allo stesso tempo l’assoluto rispetto per le persone, in un ambiente unico sia da un punto di vista calcistico sia umano. Questo aspetto mi ha sempre colpito nei tifosi granata: la passione per la squadra ma allo stesso il lasciar vivere. Per questi motivi ma anche per tanti altri aspetti sono legatissimo a Reggio Emilia”.

Un amore che non si dimentica?

Ti voglio fare un esempio: l’altro giorno ero in centro a Roma e ad un certo punto ho visto un signore con una maglia e ho subito notato il logo della Reggiana. Non ho fatto in tempo a chiedergli spiegazione perché è andato visìa veloce, però quel logo non lo dimenticherò mai perché mi riporta alla memoria ricordi bellissimi di un calcio che purtroppo non c’è più, fatti di valore e di sentimenti”.

Come hai vissuto i due anni in città?

Ho avuto la fortuna di abitare in centro, in via Della Volta, una strada vicina al teatro Ariosto. Me lo ricordo come se fosse adesso perché a fine allenamento, nonostante fossi stanco morto perché gli allenamenti di Pippo erano tosti, con mia moglie Franca non perdevamo l’occasione per farci un giro in via Emilia o una semplice passeggiata. Ricordo che anche quando c’era un freddo terribile ci mettevamo la calzamaglia e la cuffia pur di uscire a fare una passeggiata”.

Non sei abituato al freddo.

Il freddo e la nebbia. Mi ricordo che quando arrivai a Reggio mi dissero “stai attento quando c’è la nebbia” ma non me ne sono mai reso conto, anche perché nel centro della città è difficile che ci sia. Una domenica al Mirabello, però, ho capito tutto: io giocavo sulla fascia destra e ho visto arrivare all’improvviso la nebbia e in pochi minuti non vedeva la fascia sinistra del campo”.

A Reggio eri con la famiglia?

Con mia moglie Franca mentre i miei tre figli Alessio, Federica e Gianluca sono arrivati quando ero a Roma”.

Quindi campo, passeggiate e ristorante?

Qualche volta al ristorante per mangiare i tortelli d’erbetta. Andavo matto per questo piatto oltre che per il Parmigiano Reggiano che assieme a Dario Ricchi andavo a prendere direttamente in un caseificio sulla via Emilia. Era un rito, perché ce ne facevano assaggiare diversi prima di scegliere il migliore”.

Hai mantenuto dei rapporti con dei tifosi reggiani?

Con Dario e la moglie Ave mi sento spesso, ho tenuto i rapporti con Mauro Rabitti e con i ragazzi di quella Reggiana, poi Giorgio Cimurri e la Renza ma anche altri. Cimurri mi ha fatto avere il libro di Antonello Cattani su Pippo Marchioro. Mi ha fatto piacere. Al mio paese ci sono due o tre ragazzi molisani che studiano all’università di Reggio e gli dico sempre “guardate che io a Reggio ci sono stato” e li istruisco. Ho mantenuto un buon cordone ombelicale con Reggio anche a distanza di tempo”.

In quella Reggiana tu eri una mosca bianca per la tua provenienza.

Ero il giocatore più a sud di quella squadra nordista (ride Fulvio) e mi ricordo che per questo mi prendevano in giro. Ci tenevo anche a dire che ero molisano per distinguermi da Augusto Gabriele che era abruzzese. Poi quando mi dicevano del meridionale mi arrabbiavo e ripetevo: non sono meridionale, sono molisano”.

Il calcio fa parte ancora della tua vita.

Ho fatto l’allenatore per diversi anni. Adesso sono in attesa, ho avuto un paio di proposte ma è un mondo sempre più complicato”.

Ti aspettiamo a Reggio per la festa promozione.

Non mancherò”.

Wainer Magnani
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